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Nel terzo appuntamento della rubrica IPostInternazionali ho deciso di affrontare la situazione dell’Egitto come descritta dallo scrittore egiziano Ala al Aswani tramite un articolo d’opinione pubblicato sul quotidiano egiziano Al Masry al Youm.

La decisione di scegliere questo argomento è stata semplice: la stampa segue le vicende di qualsiasi natura, politiche, economiche, ambientali e così via quando è in corso un evento predominante in grado di catturare le attenzioni dei lettori. Dopo qualche giorno però, i temi trattati cominciano a diventare vecchi agli occhi del lettore e di conseguenza dell’editore. La stampa si basa sul concetto della novità, del rinnovo delle notizie, delle sensazioni, delle emozioni. La stampa non rimane impiantata su una base statica ma ha sempre bisogno di stupire, attirare, convogliare.

Questo è il principale motivo, a mio modo di vedere, per il quale non leggiamo più articoli sui paesi del Medio Oriente investiti negli ultimi anni dall’ondata di entusiasmo rivoluzionario chiamata “primavera araba”.

Di fatto la situazione è comunque in continuo aggiornamento, anche con risvolti drammatici. La stampa però si ostina a pubblicare trafiletti invece che approfondimenti e il pubblico rimane al punto in cui in Egitto c’era stata una grande rivoluzione che aveva destituito Mubarak.

Vediamo nel frattempo cosa è cambiato.

Egitto

Ahmed Harara è un giovane dentista di famiglia benestante. Ahmed avrebbe potuto recarsi in uno dei paesi del Golfo e professare il suo mestiere per il quale avrebbe guadagnato una fortuna. Ha invece deciso di rimanere in Egitto per partecipare alla Rivoluzione. Il 28 gennaio 2011 un poliziotto gli ha sparato, facendo perdergli un occhio. Non giudicando questo sacrificio un motivo valido per desistere ha continuato a partecipare alle manifestazioni. È stato colpito anche all’altro occhio e ora è cieco.

La rivoluzione egiziana sta passando una fase drammatica in cui le speranze riposte nella democrazia si affievoliscono tristemente e vivono ancora solo grazie agli eroi come Ahmed. Finché ci saranno persone che saranno disposte a perdere professione e vista per un Egitto democratico la Rivoluzione non potrà mai considerarsi sconfitta.

Si calcola che dall’inizio della rivoluzione siano morte 3mila persone, che ci siano 2mila dispersi e che ne siano rimaste ferite 18mila. Nei periodi successivi la destituzione di Mubarak i militari hanno compiuti molti massacri nei confronti della popolazione civile.

Poi, nelle recenti caotiche elezioni, i Fratelli Musulmani hanno preso il potere instaurando un regime del “terrore” perseguitando i rivoluzionari col chiaro intento di eliminare chiunque contribuisca a denunciare i loro crimini.

egitto

Secondo Aswani la situazione in Egitto è molto chiara: il presidente egiziano Mohamed Morsi una volta eletto è diventato un dittatore con la volontà di tenere per sempre in mano il potere. Questo approccio non distingue molto Morsi da Mubarak, semmai li accomuna.

Mubarak era un leader autoritario abilmente in grado di mascherare il dispotismo con una “messinscena chiassosa”: l’assemblea del popolo, il consiglio della shura, i dibattiti, gli slogan.

I Fratelli Musulmani stanno seguendo la stessa strada avendo imposto una loro costituzione, delle loro leggi, avendo nominato i vertici del potere giudiziario, indicendo nuove elezioni per eleggere un’assemblea del popolo di cui avranno salde tra le mani le redini del potere.

Di fronte alla prospettiva di una nuova falsa democrazia impostata su un’opposizione di facciata e una maggioranza violenta e dittatoriale Aswani traccia un percorso di azioni inderogabili da portare avanti.

Quel che bisogna fare, dice, è abrogare la costituzione, indire elezioni presidenziali anticipate e sottoporre a processi imparziali tutti coloro responsabili delle violenze sui manifestanti.

La via tramite cui dar vita a questo processo è quella adoperata a Porto Said nei giorni scorsi: indire uno sciopero generale come premessa di una disobbedienza civile che renda dura la vita istituzionale ai Fratelli Musulmani.

La via dello sciopero incarna l’anima della Rivoluzione. I Fratelli Musulmani possono inviare gli aguzzini ad ammazzare gli oppositori ma come potranno fermare milioni di egiziani che si astengono volontariamente dal lavoro?

Scioperare è un diritto degli egiziani, presente nelle leggi e convenzioni internazionali.

Il dovere degli egiziani è quello di boicottare le elezioni indette da Morsi perché sporche di sangue. Per Aswani la democrazia è l’unica soluzione possibile.

Conclusioni

La vicenda egiziana offre l’ennesimo spaccato storico riguardo le difficoltà di portare avanti dei cambiamenti radicali all’interno di una società. Un paese per lunghi anni sottoposto alla dittatura è un paese in cui si sono create forti divisioni, diseguaglianze e tensioni. Il popolo può trovare la forza necessaria per coagulare le proprie emozioni dovute da uno stato d’animo di pessimismo, frustrazione e insofferenza. Può dar vita ad un grande movimento di massa che può ribaltare l’establishment. Ma quella non è che una fase, la prima, di un cambiamento che ha bisogno di forti scosse di assestamento prima di compiersi.

Quel che si osserva è la difficoltà di dar vita ad un movimento unitario che ribalti un sistema politico, militare, istituzionale senza spargimenti di sangue, senza tensioni. Ogni Rivoluzione dei paesi arabi come in Libia, Tunisia, Algeria, Egitto e Syria ha riscontrato immani problemi di stabilizzazione. Ancora oggi non c’è un paese di questi che ha raggiunto una sorta di stabilità. Lo shock della rivoluzione è necessario ma sarebbe impensabile credere in un cambiamento rapido e indolore.

Questo tipo di società del resto hanno bisogno di riprendere confidenza col concetto di democrazia, di comunità, di convivere in modo civile rispettando le diversità e gli steccati creati da centinaia di vite sacrificate sull’altare delle divisioni politiche. Ogni paese arabo sta vivendo questa fase di transizione.

La speranza rimane sempre quella di un progressivo incivilimento del popolo, delle istituzioni. Della maturazione dello spirito del popolo, presente a livello di coscienze meno a livello di coesione. In fondo è proprio la coesione sociale l’elemento fondante di ogni sistema democratico.

IPostmoderni